martedì, dicembre 26, 2006

Cos’è quando il resto non ha sapore, quando il mare non ha fine?
Cos’è quando fuori tutto tace e dentro è così lieve?
Cos’è quando non so mai cosa dire, quando nel silenzio basta un filo di voce?
Cos’è quando quell’istante è un momento puro e intenso che dura ore?

Cos’è che sta fluttuando a mezz’aria scivolando su un raggio di luce?
Cos’è che ripenso a un sorriso, due occhi vicini, una carezza e mi sento bene?

Cos’è quando non so e non ci voglio pensare, cos’è che in un sogno oppure era vero, non cerco il domani, non voglio sapere, un tratto di tempo, un incrocio di mani, un soffio di gioia in punta di labbra, un battito leggero d’ali, e la vita è e l'amore pure.

domenica, dicembre 24, 2006

Apro le braccia per misurare il cielo: una prova di coraggio non necessita di una dimostrazione di forza.



martedì, dicembre 19, 2006

Fermo a un passaggio a livello, aspetto, altro non posso fare. Il cielo grigio non dà spunti interessanti, solo un aereo graffia l’aria bruciando un po’ di spazio vuoto. Nessun rumore esterno solletica la mia attenzione. Mi ritrovo a pensare alle solite cose, come tutti immagino, in quei minuti spenti difficilmente impiegabili, perché troppo brevi per favorire lo sviluppo di un’azione e troppo lunghi per riuscire a stemperare l’incedere lento dell’attesa. Uno sguardo allo specchietto retrovisore, non c’è nessuno da scrutare.

Poi, una sola parola – colpevole - di una canzone, captata senza volerlo poiché nemmeno stavo ad ascoltare e mi perdo in una successione di scatole cinesi, incatenate in una sequenza mai più percorribile a ritroso. Mi trovo immerso in un fluido denso, in cui rimango invischiato: penso che devo ancora rispondere a due mail e a un messaggio, che ne dovrei inviare altrettanti, che non mi faccio mai sentire con alcune persone. Che ritardo sempre quando devo dare delle risposte, che non mi decido mai ad affrontare determinate questioni e decisioni. In qualche minuto il cielo diventa più malinconico che grigio e tutto s’ingarbuglia. Non ne esco mai quando mi intrufolo in certe onde che si avvolgono a spirale a stringere le mie tempie e non capisco più se sono stato io a infilarsi o se sono state loro (le onde, non le tempie). Che poi, non è che non voglia rispondere o che abbia interesse a tenere sospese certe questioni: solitamente penso tutto il giorno a una risposta adeguata, formulo più varianti nella mia testa, per non rischiare di essere banale, mentre il becco del picchio martella la mia coscienza, sottolineando che sta passando troppo tempo. Eppure. Eppure ogni volta è la stessa storia. E poi, come nei rotoli di carta da cucina dove ogni foglio è legato a quello precedente e a quello successivo, tutte le lacune e le debolezze della mia persona affiorano e io non riesco a dare il colpo secco per porre fine alla sequenza.

Immagino che se prendessi uno specchio e iniziassi a scrivere, con un pennarello indelebile, i miei difetti sulla sua superficie, a un certo punto l’immagine riflessa sarebbe solo uno sfondo in movimento disturbata dall’invadenza dell’inchiostro. Devo cambiare, devo migliorare: nelle intenzioni, credetemi, la consapevolezza c’è tutta. Sarebbe bello mettere il tappo a quel pennarello, sfilare un po’ di cotone imbevuto nell’alcool e sciogliere un po’ di parole scritte su quel vetro. Non è così semplice, altrimenti lo starei già facendo…

Lo sferragliare delle ruote sui binari interrompe il flusso dei pensieri. Fortunatamente passa il treno e posso ripartire.

domenica, dicembre 17, 2006

Se la realtà non fosse liberamente interpretabile, il loquace pensiero, il malinconico dubbio e l'intrepida speranza sarebbero solo accessori destinati alla polvere.

sabato, dicembre 16, 2006

Hai ragione. Un sorriso è la declinazione più delicata e semplice della felicità, quando affiora così impalpabile e gratuita, e la vorresti solo condividere.

venerdì, dicembre 15, 2006

Da piccolo mi divertivo a giocare con le “macchinine”, così chiamavo le riproduzioni in scala delle vetture di serie. A tre anni mi illuminavo quando mi davano quelle scatolette con le ruote, che inevitabilmente dopo qualche mese finivano distrutte sotto la pressione del mio palmo di mano. Raccontano i miei genitori che a sei anni ero talmente appassionato di automobili che sapevo già distinguere quasi tutti i modelli che circolavano per strada, a forza di giocarci con i modellini nella mia cameretta. Ciò che mi ha sempre affascinato e tuttora mi intriga è la bellezza di alcune carrozzerie e le prestazioni promesse da taluni modelli: da piccolo sognavo ad occhi aperti le sensazioni che si potevano provare a velocità prossime ai trecento chilometri orari o accelerazioni brucianti: mi incantavo davanti alla televisione quando c’erano i Gran Premi di Formula 1. Ancora oggi le automobili sono una delle mie passioni, basti pensare che la mia tesi di laurea si basa sull’analisi di un particolare modello di vettura; quell’attrazione per i motori, nata in fin dei conti con il gioco infantile non si è mai sopita ed anzi col tempo si è rinvigorita.

Per questo, quando avrò un figlio, nei primi anni di vita non gli regalerò nè soldatini, nè pistole nè tantomeno carri armati.

giovedì, dicembre 14, 2006

Attenzione! È vietato oltrepassare la linea gialla in attesa del treno.

mercoledì, dicembre 13, 2006

Alcuni treni passano una volta soltanto nella vita. Quante volte ce l’hanno detto. Da piccolo ero affascinato, incuriosito e al tempo stesso intimorito da questi treni, che, raccontavano i grandi, arrivano improvvisamente, si fermano in una non ben precisata stazione e ripartono. “Bisogna saperli riconoscere e prenderli al volo: poi non passano più”. Mi angosciava il fatto di non sapere se sarei stato in grado di riconoscerli. “Chissà quale fischio? Chissà quanti vagoni?”.
Per un bel pezzo entrambi abbiamo aspettato il nostro treno, nella stessa stazione, e lì ci siamo conosciuti, nell’attesa. Poi abbiamo fatto scelte differenti, una volta intravisto lo spettro di una cocente delusione. Io ho deciso di continuare ad aspettare sempre là, in quella stazione, convinto che prima o poi questo treno dovrà pur passare; tu invece mi hai salutato ed hai iniziato a camminare sui binari, convinto che il tuo treno sia già passato o non passerà mai e che quindi non ha senso aspettarlo ancora. Entrambi siamo consapevoli che stiamo coscientemente rischiando: io di consumarmi nell’attesa, tu di farti travolgere dal treno.

martedì, dicembre 12, 2006


Prendo ago e filo e mi metto a cucire tutte le emozioni che ho provato, accoppiandole una a una con il pezzo di vita corrispondente. Ma qual'è, in fin dei conti, la differenza tra un rattoppo e un ricamo?

domenica, dicembre 10, 2006

“Pazzesco come non ci siano passaggi intermedi. Una settimana prima non c’è praticamente interesse, la settimana dopo sei dentro fino al collo e pensi solo ed esclusivamente a lei. A quel punto ti conviene crederci e non farti tante domande, perché tornare indietro fa male, troppo male, e soprattutto è un passaggio maledettamente lento e graduale; senza considerare che è un processo, inutile, destinato a fallire”.

Questo mi disse prima di aggiungere: ”…al diavolo l’amore!”. Io non ho replicato, mi sono limitato ad annuire. Poi ho cambiato discorso. “Sai per caso come sono andate le partite oggi?”. Dalla sua espressione, ho intuito come non avesse particolarmente gradito la domanda. Dal tonfo sordo, sul pavimento, ho capito come, di colpo, la considerazione che aveva di me fosse leggermente diminuita.

sabato, dicembre 09, 2006


E vabbè, chiamalo come vuoi. Il nome non conta, è un tipico vizio dell'uomo quello di ingabbiare qualsiasi cosa dentro una categoria. Sintomo dell'insicurezza quella paura di non avere tutto sottocontrollo. Ma il nome cambia e può cambiare. E comunque lascia stare, non so nemmeno cosa voglia dire. Sto un pò ad ascoltare il vento, chissà che non ne intuisca il senso, magari un pò d'aria si è infilata tra le parole e ha dilatato la punteggiatura. Sì, forse è solo quello. Sospendo il giudizio, la critica passa in prescrizione, non ho voglia di appellarmi a niente, son pigro e quindi aspetto, mentre fuori è pure spuntato il sole; nell'incertezza, esco, sorrido e alzo una mano per salutare.

venerdì, dicembre 08, 2006

Ma non lo so! Non lo so! Non posso fare a meno di lasciare un po’ di spazio attorno a me, ma non chiedetemi il perché. Di sicuro non respiro meglio, di sicuro non c’è niente, di sicuro c’è solo il dubbio. Qualche centimetro cubo di aria, non tanto. Che ci posso fare? Non allaccio nemmeno il primo bottone della camicia perché mi sembra di soffocare. Ma nessuno, in realtà, è mai soffocato perché si è allacciato quel bottone, no?

giovedì, dicembre 07, 2006


Il perchè di alcune mie abitudini, non lo so. E nemmeno quello di certe mie paure.

mercoledì, dicembre 06, 2006

(9)

Tre anni. Anzi, più di tre anni già trascorsi assieme. A volte non ci credeva, non gli pareva vero. A ripercorrere tutta la storia, e soprattutto la genesi, era difficile prevedere un tale sviluppo.
Sì, insomma, quella ragazza, che lui pensava d’aver conosciuto nel momento peggiore in assoluto, pian piano l’aveva conquistato. Quella ragazza, che sembrava irrimediabilmente schiacciata nel cono d’ombra proiettato dall’amore non corrisposto, era diventata fonte stessa di luce per lui. La perseveranza con la quale gli era stata vicina, sopportando inizialmente il fatto che lui fosse innamorato di un’altra, senza pretendere da subito quel che lui, chiaramente, non le poteva dare, l’aveva premiata. Senza invadenza, con molto tatto e femminilità, ma senza mai sminuirsi o annullarsi per lui, si era ritagliata uno spazio sempre più ampio nella sua vita. Aveva saputo defilarsi e aspettare: lui non le aveva detto di amare un’altra, ma lei l’aveva capito. Non fu semplice come inizio: le premesse avrebbero scoraggiato più di qualche ragazza. Però lei era sicura che lui fosse il ragazzo giusto: ne fu convinta dal primo istante e fu disposta a soffrire pur di rischiare. Lui inizialmente non ne voleva proprio sapere, ma non perché lei non fosse interessante, semplicemente perché il bruciore della precedente delusione era ancora troppo intenso. Non c’era posto per quella, o chiunque altra donna.
Passò del tempo, il miglior disinfettante che esista in natura, poi iniziarono a vedersi sempre più frequentemente. Quando lui cominciò a conoscerla meglio, a cogliere quei punti in comune e a scoprire quel carattere un po’ particolare fu quasi un colpo di fulmine a effetto ritardato. Si ritrovava a pensare a quella ragazza sempre più spesso, a desiderarla; sentiva che non la voleva perdere. Il fidanzamento fu, di conseguenza, quasi un passo naturale.

Quella sera stavano andando fuori a cena: stavano raggiungendo il solito locale dove si trovavano con gli amici. Lei, come sempre, era splendida: lui, a volte, ancora si stupiva che fosse davvero la sua fidanzata.
La radio faceva da sottofondo alle parole di lei, intenta a raccontargli un episodio buffo avvenuto nel pomeriggio. Lui sorrideva divertito, intervenendo, ogni tanto, per prenderla in giro.

A un certo punto le inconfondibili note di Shiny Happy People, uno dei singoli più famosi di “Out of time” lo distrassero. Lui ebbe un lieve sussulto interiore e un battito del cuore leggermente più accelerato. Un pensiero, inutile negarlo, andò a Lei; non la vedeva da circa due anni e la sentiva ormai con sempre meno frequenza. Da quando si era trasferita, poi, tutto si era ulteriormente complicato.
A dir la verità, a entrambi spiaceva che quel filo rosso, che li aveva tenuti vicini per circa dieci anni non riuscisse più a coprire la distanza sempre maggiore tra le loro vite. Qualche mail, qualche messaggio, ma nulla di più vivo per mesi, poi capitava che uno dei due telefonasse e stavano a parlare per ore, a volte, scherzando, pure di quel che poteva essere ma non era stato. L’ultima telefonata, tuttavia risaliva a circa sei mesi prima. “Domani, se ci riesco, la chiamo” pensò.
Quell’album “Out of time” era inevitabilmente legato a Lei, e lo sarebbe sempre stato, perché assieme lo avevano ascoltato davvero un’infinità di volte: ogni volta che lo risentiva, inevitabilmente, qualche immagine impolverata di loro due tornava alla luce. Nessun tipo di rimpianto, solo un piccolo click dentro, per una persona che comunque aveva lasciato un segno indelebile e ancora vivo nella sua vita. Un attimo… poi passava, come in questo caso.

Si girò di lato, guardò la sua ragazza, e dopo averle sorriso la baciò dolcemente sulle labbra, quasi a scusarsi del pensiero.

martedì, dicembre 05, 2006

(8)

Quella sera in auto le sensazioni si accavallavano. Riavvolgeva e rivedeva le immagini della serata appena trascorsa. Le interpretava con la mente. Le riviveva pensando di avere sbagliato a non dichiararsi. E se avesse provato a baciarla? Aveva notato un momento di esitazione quando avevano sciolto l’abbraccio. Ma non ne era sicuro fino in fondo, anzi, non ne era per niente convinto.

Guardava la strada e vedeva lei, anzi riusciva quasi, con uno sforzo d’astrazione a rivedere tutta la serata in terza persona: la mente montava le scene in diretta a velocità doppia o dimezzata, a seconda dei passaggi. Gli sguardi, le parole, i gesti, e ancora i sorrisi e le pause, in ordine sparso, sovrapposto, sfumato, nitido, sfuocato. Tutti i momenti nei quali avrebbe potuto dichiararsi li aveva sviscerati già un numero eccessivo di volte; al termine di ognuno, dopo aver messo in pausa l’immagine, pensava che era stato semplicemente un cretino a non aver nemmeno provato ad accennarle qualcosa. Tutte le parole non dette ora riaffioravano; tutte quante, in fila disordinata, spingevano e sgomitavano nella sua testa. Tutte quelle parole che si erano nascoste in qualche anfratto in bocca o chissà dove, ora si mostravano integralmente.

Un caos che solamente un innamorato respinto può intuire. Lui poi non era stato nemmeno respinto. La gioia avvertibile di lei per la sua nuova relazione, il fatto di sentirla così radiosa, questo l’aveva bloccato. È cinico da constatare, ma non era assolutamente felice per lei, a questa ipocrisia lui non aveva mai creduto. “Come si fa a essere felici in queste situazioni?” L’aveva bloccato l’orgoglio di sentirsi respinto, quel maledetto orgoglio lo aveva costretto a una resa anticipata, che a ragion veduta, risultava ancora più umiliante e amara di una sconfitta annunciata. Rimase una decina di minuti in auto da solo, una volta arrivato a casa, a sbollire un po’, ascoltando a volume sostenuto le canzoni più belle di “Out of time”.

Era alle solite: adesso avrebbe voluto parlarle, tornare indietro, fare qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa pur di ottenere di nuovo il suo amore. Prese il cellulare e riscrisse più volte il messaggio. Alla fine le mandò un semplice”Grazie della serata. Sei più importante di quanto pensi per me. Buonanotte” poi scese dalla macchina ed entrò in casa. Dopo circa venti minuti lei rispose con un: “Anch’io ti voglio bene. Un bacio. Buonanotte”. Si impose di non scrivere nient’altro quando in realtà la voglia di telefonarle, tempestarla di messaggi e sentirla ancora non si era per niente placata.

Andò a letto e spense la luce.

In dormiveglia, la sua mente proiettava ombre sulla parete della razionalità che l’occhio scambiava per vere e proprie presenze: il sonno quando serve non interviene mai a cullarti con le sue soffici braccia.
In attesa che le palpebre assecondassero il bisogno primario di dormire era costretto a immaginare, in modo decisamente poco lucido, il domani senza di lei. “Non ti verrò più a cercare, no, non ti verrò più a cercare” si diceva e già realizzava come fosse una realtà difficilmente sopportabile. Un attimo dopo, invece, si trovava a pensare a come riconquistarla. Quella sera a letto, anche se non l’avrebbe mai ammesso, si rivolse pure a Dio. “Ti prego, Signore, fa che torni da me. Ti prego”. In quei momenti ci si aggrappa a tutto quel che può dare appiglio e si è disposti a promettere anche quello che non si può mantenere. In quei momenti gli argini della razionalità vengono spezzati dall’onda travolgente della passione. Quando il fiume è in piena, saper nuotare non è sufficiente.

lunedì, dicembre 04, 2006

(7)

Alla fine non glielo disse. Cercò più volte di avvicinarsi, di arrivarci per gradi ma niente, non c’erano varchi e quando si aprivano improvvisi, lui indugiava.
A un certo punto lei gli chiese spiegazioni relativamente al suo comportamento. “Sei diverso con me ultimamente. Non so come spiegarmi, ma ti sento più lontano. Sembra quasi che tu voglia evitarmi. Non ti più fai sentire, perché?”. L’uomo non si rende conto, e non vuole capirlo, che la donna ha il dono innato di percepire la rottura di un equilibrio nell’anima di una persona: sente quella vibrazione insolita, nota subito il fatto di non saper reggere uno sguardo, avverte una oscillazione, anche se lieve, nel modo di fare. La donna ha questa sensibilità: non sempre ne intuisce le cause, ma difficilmente le sfuggono questi segnali.
Lui si irrigidì: la tensione lo teneva sotto scacco. Poteva dirle il motivo, o almeno farle intuire che le dinamiche del loro rapporto erano cambiate, che lui non la considerava più solo e soltanto un’amica. Tutti i discorsi provati e riprovati dov’erano finiti? Non ne sentiva nemmeno l’eco. Le pareti dello stomaco erano di legno, il cuore letteralmente in gola. Abbassò lo sguardo. Gli venne a mancare il coraggio. Oppure… oppure nemmeno lui sapeva cosa, fatto sta che giustificò il suo comportamento con scuse verosimili alle quali lei non credette fino in fondo, ma che accettò come tali. Lei, in ogni caso, intuiva e provava sincera tenerezza per il disagio di lui. Sviò il discorso, per evitargli ulteriore imbarazzo: era la prima volta che lo vedeva così in difficoltà nei suoi confronti. Lei gli accarezzò delicatamente il volto: “Hai la barba un po’ troppo lunga…” disse con un sorriso dolce.

Ormai il ghiaccio era rotto: gli atteggiamenti e le parole, da parte di entrambi, si fecero molto intimi e confidenziali, ma senza mai arrivare a un punto di non ritorno: riemersero ricordi, aneddoti, episodi passati assieme, alcuni dei quali davvero molto intensi. A quel punto non c’erano più barriere né schermi. Lei, allungando una mano sul suo braccio in una ricerca di contatto, gli disse che lui era molto importante e che non voleva perderlo, che avrebbe fatto di tutto per portare avanti la loro amicizia. “Fa sempre piacere sentirselo dire” pensò questo e glielo disse, aggiungendo “Sì, anch’io ci tengo a te”. Qualche parola ancora, poi uscirono dal locale. Nel parcheggio non c’era anima viva. Si abbracciarono e rimasero abbracciati a lungo. Gli occhi di entrambi erano umidi, le palpebre chiuse a trattenere un’intraprendente lacrima. La luna, in cielo in una notte senza stelle, rimase in silenzio. Tanti frammenti di momenti passati assieme, tanti piccoli segreti soffocati in quell’abbraccio così intenso.

domenica, dicembre 03, 2006

(6)

Del più e del meno. Inizialmente la buttarono sul generico. Sembrava quasi una formalità da espletare fare un punto di ripristino dell’ultimo periodo, quello nel quale non si erano più sentiti, anche se a entrambi non importava poi molto sapere gli sviluppi tecnici delle loro rispettive vite. In quel momento non c’erano i presupposti per immagazzinare tali informazioni. In queste situazioni si aspetta che uno dei due trovi l’aggancio giusto per cambiare discorso e focalizzare l’attenzione su quel che si ha davvero bisogno di parlare. “La tua storia come procede?” approfittando di una pausa leggermente più lunga lui decise di fare il primo passo.
Bene...grazie… siamo all’inizio, però sono veramente felice…”. Anche se era una risposta che si aspettava, ampiamente preventivata, la delusione gli si riversò dentro: quando la speranza diventa liquida un’ondata di amarezza è sempre pronta a travolgerla.
Mi fa piacere” disse lui, chiaramente mentendo. In effetti, a quel punto, per lui la serata non aveva più senso. Pausa rapida poi lei a sorpresa:” Mi hanno detto che sei stato visto più volte con una nuova ragazza…sarà finalmente quella giusta?” Sorriso malizioso di lei, in attesa di risposta. Non se l’aspettava, che lei fosse a conoscenza di questa informazione davvero non se l’aspettava. Effettivamente lui era uscito un paio di volte con una ragazza, con la quale a dir la verità, non ci aveva combinato niente. Una ragazza che lo intrigava, ma che non voleva illudere. Una ragazza forse capitata nel peggior periodo possibile. Quella giusta ce l’ho davanti, adesso ” pensò, ma evitò di dirlo: solo nei film e derivati una tale uscita produce effetti positivi. Nella vita reale, con una tale dichiarazione, non si va mai oltre un glaciale imbarazzo. “No, guarda è solo un’amica. Niente di più”. Non le chiese nemmeno chi glielo avesse detto, a quel punto era solo un dettaglio di poco conto. Sorrise poco convinto, cercando di scorgere nel volto di lei qualche segnale e aspettando un suo commento.

sabato, dicembre 02, 2006

(5)

In quel pomeriggio tutto era superfluo. Ogni parola, ogni gesto, ogni azione era attesa. Pura e semplice attesa. Ci aveva riflettuto a lungo, ma senza trovare punti d’approdo. Non sapeva bene se dire tutto quel che doveva dire, oppure sciogliere le parole più dolci prima che diventassero amare a contatto con l’aria. A cena non aveva per niente fame, mangiò giusto il necessario: la tensione aveva modellato a imbuto l’intestino e saturato gli spazi. Quando arrivò in piazza lei non c’era ancora. Si era concesso dieci minuti d’anticipo per rimanere in auto, da solo, quell’attimo in più, ad ascoltare qualche canzone che non c’entrava niente con l’amore. Riconobbe l’auto, la vide scendere. Scese anche lui. “Dio, come sei bella” questo lui pensò. È difficile spiegare a una donna il perché un uomo noti subito la bellezza. Non è sempre superficialità. L’amore porta a realizzare la presenza di bellezza, anche dove non è del tutto tale. L’amore porta occhi nuovi e stravolge la vista. Quante volte una persona di per sé “normale” diventa via via sempre più attraente quando subentra quel sentimento egoista ed egocentrico che inizia per A (no, non è l’amicizia)? “Dio, come sei bella” era la forma più semplice per esprimere, per primo a sé stesso, un’insieme di sensazioni che a descriverle avrebbe potuto perdere ore. Dentro c’era tutto. E un complimento più completo forse non esiste. “Come và?” chiese lei. “Non c’è male” rispose lui. In auto, come l’ultima volta, ancora loro due. Un brivido veloce, ma fortunatamente lui non stava dicendo niente in quel momento, altrimenti lei avrebbe sicuramente avvertito l’incrinatura della voce. Iniziarono a parlare, qualche battuta rapida, scelsero il locale per la serata. Subito dopo, lei gli chiese se, per favore, poteva inserire nel caricatore il cd “Out of time” dei R.E.M.

venerdì, dicembre 01, 2006

(4)

Per due giorni non avrebbe pensato ad altro. Non aveva diritto di scelta semplicemente perchè non era lui a decidere. Si ritrovava distratto a provare i discorsi da fare, discorsi che si concludevano quasi sempre con una storpia e melensa dichiarazione d’amore. Si faceva quasi pena da solo.
Dignità, conservare un minimo di dignità
.
Si sentiva con lo stato d’animo di una squadra in vantaggio di 3 goal raggiunta e superata in extremis. La stessa sensazione. Consapevole che il 3-5 era solo questione di minuti. Non aveva parlato con nessuno di come si sentiva , e non voleva farlo. Preferiva tenersi dentro tutto e presentarsi agli amici con il solito sorriso, magari un po’ più stropicciato del solito e sperare che nessuno notasse niente. Parlarne a caldo non aveva senso per lui. Sarebbe stato solo un patetico sfogo. Ma che poteva farci? Anche se i sedici anni erano davvero lontani, a certe emozioni non ci si abitua mai. Si rendeva conto che non vi erano margini per tornare indietro, anche solo di qualche mese. Costruiva enormi castelli di sabbia in aria che si dissolvevano lasciando granelli dappertutto.
A volte analizzando il tutto da un’altra angolazione, si interrogava se fosse davvero possibile innamorarsi perdutamente di una persona di cui non lo era mai stato veramente fino in fondo. Si chiedeva se fosse il distacco a comprimerlo nel limbo denso nel quale stava immerso. E non gli sembrava possibile essere in una tale situazione per lei. Più ci pensava e più gli sembrava una beffa.